Nella giornata di ieri la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha emanato una interessante sentenza, nell’ambito del caso Y c. Francia (ricorso n. 76888/17).
La Corte dei diritti dell'uomo ha affermato che nel caso di specie non sussisteva nessuna violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei Diritti umani.
Il ricorrente, una persona biologicamente intersessuale, lamentava il rifiuto di un tribunale francese di accogliere la propria richiesta di inserire la parola "neutrale" o "intersessuale" all’interno del suo certificato di nascita, invece del riferimento al genere maschile.
Nell'esaminare il caso, alla luce dell'obbligo dello Stato convenuto di garantire al ricorrente l’effettivo rispetto della sua vita privata, la Corte ha accertato se l'interesse generale fosse stato debitamente soppesato rispetto agli interessi del ricorrente.
La Corte ha rilevato, in primo luogo, una discrepanza tra l'identità biologica del ricorrente e la sua identità ai sensi di legge: ciò poteva causare sofferenza e ansia e dunque appariva necessaria un’analisi degli interessi contrapposti e un successivo bilanciamento degli stessi.
La Corte ha, poi, riconosciuto che le argomentazioni addotte dalle autorità nazionali in sede di diniego nei confronti della domanda del ricorrente, risultavano fondate.
Invero, il riconoscimento giudiziale di un genere “neutro” determinerebbe conseguenze di vasta portata per le norme del diritto francese, costruito sulla base di due generi, e implicherebbe molteplici emendamenti legislativi di coordinamento.
Dopo aver evidenziato come la Corte d'appello di Orléans avesse ritenuto che l'accoglimento della domanda del ricorrente avrebbe comportato il riconoscimento dell'esistenza di un'altra categoria di genere, eventualità che spettava in linea di principio al legislatore e non al potere giudiziario, la Corte ha ribadito che il rispetto del principio della separazione dei poteri, senza il quale non sussiste democrazia, era stato concretamente posto al centro delle considerazioni dei tribunali interni.
Sebbene il ricorrente non chiedesse un diritto “generale” al riconoscimento di un terzo genere, ma solamente la rettifica del proprio stato civile, la Corte ha osservato che se si dovesse accogliere la domanda del ricorrente ciò comporterebbe per lo Stato la modifica del proprio diritto interno.
In assenza di un orientamento europeo condiviso in tale settore, a giudizio della Corte appare necessario che sia lo Stato convenuto a determinare se e in che misura si possa soddisfare la richiesta pervenuta da persone intersessuali, A ben vedere, si richiede un contemperamento non semplice tra la posizione giuridica dei soggetti in questione e quella biologica. La Corte ha concluso che, tenuto conto della discrezionalità di cui gode lo Stato convenuto, la Francia non è venuta meno al suo obbligo di garantire l'effettivo rispetto della vita privata del richiedente: in definitiva, non sussiste una violazione dell'articolo 8 della Convenzione.